Ci ha raccontato di Juventus, di calcio mondiale, di campioni del pallone e di uomini veri per oltre mezzo secolo, esattamente dall’inizio degli anni ’60. Per chi non l’avesse capito, stiamo parlando di Bruno Bernardi firma storica de “La Stampa”. Il nostro incontro avviene proprio lì, ai piedi della collina di Torino nel tratto che divide il Ponte Isabella da quello di Corso Bramante, in zona Molinette. Prospiciente alla redazione de “La Stampa”, ci sono dei giardinetti e, con il “maestro”, decidiamo di comune accordo di accomodarci in una panchina. Abbiamo voglia di stare all’aria aperta e non è un caso avere scelto questa soluzione per l’intervista. Infatti, sarà la dolce aria di primavera o puramente il desiderio di rendere l’incontro meno ufficiale, fatto è che entrambi, in quel luogo, ci siamo subito sentiti a nostro agio. La gente passa incuriosita e, qualche volta, tergiversa volutamente nel vano tentativo di carpire una parola, una frase detta dall’illustre interlocutore. Il paesaggio, l’aria dolce di primavera, i colori variopinti dei fiori appena sbocciati e il lento fluire del Po, ci introduce in un conversare cordiale, fatto di ricordi e di commozione legata al tempo che fugge via velocemente. Bruno Bernardi è in pensione da diversi anni, tuttavia, continua caparbiamente a interessarsi di calcio e a frequentare quella storica redazione de La Stampa (che per lui è diventata una seconda casa), con il desiderio di stare al passo dei tempi, di non perdere la notizia, di cavalcare l’attualità sportiva inerente soprattutto la “sua” Juve, per poterla riferire come opinionista negli studi di Juventus Channel piuttosto che al Processo di Biscardi o altre televisioni private con le quali collabora proprio come se lavorasse ancora. Un piacevole impegno di presenza quotidiana che s’interseca al desiderio di recuperare quelle lunghe assenze dalla sede di via Marenco, dovute al suo impegno d’inviato speciale al seguito della Juventus. Un lavoro bellissimo che gli ha dato modo di conoscere il mondo in lungo e in largo. Bernardi nasce a Torino da mamma Margherita, ultranovantenne che adora, e papà Eligio tifoso granata DOC, amico di Ossola e Gabetto. Ci rimase un po’ male papà Eligio, quando il figlio Bruno, all’età di sette anni, nel negozio di articoli sportivi di Parola, scelse la maglia della Juventus e non quella granata del Toro che, peraltro, gli era già stata regalata da papà nel periodo natalizio. Ricordi lontani nel tempo che s’intrecciano tra figure affettuose e momenti che fanno parte della sua sfera intima di uomo sensibile. Oggi, Bruno Bernardi è legato sentimentalmente a sua moglie Giovanna che egli definisce “La mia luce”. Nel periodo della guerra abitava a Torino, in Corso Valdocco e poi, a causa di un bombardamento, dovette trasferirsi con mamma e papà in Via Garibaldi. Barriera di Milano e Regio Parco sono i suoi quartieri preferiti, per avervi vissuto lunghi anni della sua vita. Era un bravo calciatore. Giocava con il Pino Maina e si atteggiava a Omar Sivori, il suo idolo, non solo nell’emulazione tecnica ma anche nel portare giù i calzettoni arrotolati alla caviglia, proprio come faceva il campione argentino. Giocò una volta sola contro la sua Juve al campo Combi nella categoria Juniores, segnando un memorabile gol e regalando la vittoria per 1 a 0 al Pino Maina, la sua squadra. E, tra tanto passato, ecco il riferimento alla Juventus di oggi che gli ricorda quella di Heriberto Herrera. Quella Juve vinse uno scudetto di misura davanti all’Inter, nonostante i nerazzurri di allora fossero superiori ai bianconeri dal punto di vista tecnico. Il Milan è avvertito. Ma, la squadra di Conte, per la sua cattiveria agonistica, per la continuità e per il modo di pressare a tutto campo l’avversario, Bernardi la paragona alla prima Juve di Marcello Lippi e la ritiene da podio, cioè classificabile nei primi tre posti del campionato. A maggio, ci sarà anche la finale di Coppa Italia contro il Napoli, un’occasione da non perdere. Poi, il riferimento a Del Piero è d’obbligo:“Un grande campione cui ho dedicato un libro, grande classe, grande educazione in campo e fuori; purtroppo la carta d’identità lo penalizza e le logiche aziendali vanno oltre il rispetto per i giocatori considerati “simbolo”. Oggi il calcio è prevalentemente atletico e bisogna stare al passo con la vigoria fisica. Penso che Alex giocherà ancora un anno in America e, in futuro, farà parte del gruppo dirigente della Juventus”. Il “maestro” è instancabile nel suo dire, ma è piacevole ascoltarlo come quando tiene a precisare che dal punto di vista professionale e personale, la Juventus gli ha dato tante soddisfazioni, avendola vista vincere per ben 19 volte, così come ha raccontato nel suo libro “La Juventus, regina di Coppe”. Poi, un ricordo speciale del suo amico e maestro Giovanni Arpino, scrittore, poeta e giornalista di grande qualità che gli attribuì affettuosamente il nome di Bibì: “Con Giovanni nacque un feeling naturale; io avevo 33 anni e lui era un maestro, mai distante da nessuno. L’ho visto scrivere una colonna in otto minuti che, cronometrati, sono più o meno settanta righe scritte senza neppure una sbavatura. Abbiamo girato il mondo insieme per dieci anni, da Cruijff alla lattina in testa a Bordon. Arpino aveva vinto il premio Strega e il Campiello; per questo non dettava mai a braccio”. Poi, come in un film, rivede i grandi campioni da Di Stefano a Sivori, Pelè, Maradona, Baggio, Paolo Rossi, Gigi Riva, Rivera, Mazzola, Platini, Scirea, Zidane, fino ad arrivare a Buffon, Del Piero, Giovinco, Marchisio, De Ceglie. Una carrellata di atleti e di uomini che s’identificano nel calcio di ieri e di oggi e del quale si fregia di essere amico. Tanti sono i suoi racconti legati al mondo del calcio e tutti di notevole interesse e qualità. E intanto, sul calar della sera, l’umidità provocata dalle acque del Po s’impone sul fievole tepore del sole di primavera. L’intervista con il “maestro” Bernardi volge al termine. E’ stato bello incontrarsi, il tempo è volato via velocemente, quasi come il suo mezzo secolo di giornalismo. Ma il nostro è un arrivederci perché ci rivedremo a Milazzo in provincia di Messina il 13 luglio prossimo, in occasione di una conferenza stampa organizzata dai colleghi giornalisti siciliani. Sarà interessante e piacevole per noi giornalisti e per coloro i quali amano il calcio da sempre, ascoltare e rivivere attraverso le parole del “maestro” i trascorsi di un’esperienza professionale e umana di straordinaria intensità culturale.
Salvino Cavallaro